Sud Sudan, come le elite di potere controllano il settore minerario

Non solo il petrolio. Una nuova inchiesta mette in luce l’intreccio di interessi, il più delle volte illegittimi e talvolta del tutto illegali, che sfruttano per fini personali o di parte le risorse strategiche del paese. Fomentando instabilità, conflitti e corruzione

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Continua l’inchiesta del progetto The Sentry (dell’organizzazione americana Enought!) nel mondo degli affari sud sudanesi, con lo scopo di mettere in luce i rapporti tra corruzione e conflitto.

Nel rapporto Untapped and Unprepared (Non sfruttato e impreparato), diffuso nei giorni scorsi, i ricercatori hanno trovato accordi non chiari, e talvolta illegali, per accaparrarsi le risorse del paese, questa volta nel settore minerario. Lo dichiara il sottotitolo del documento stesso: Dirty deals threaten South Sudan’s mining sector (Accordi sporchi minacciano il settore minerario del Sud Sudan).

Il rapporto sostiene che le ricche risorse minerarie del paese, sui cui proventi il Sud Sudan potrebbe fondare il proprio sviluppo, finiscono invece nelle mani delle elite politiche e militari, anche a costo di fomentare tensioni e conflitti, come d’altra parte è successo per il petrolio. Lo dimostra studiando le licenze per i diritti di sfruttamento, seguendo i rapporti familiari e politici dei detentori delle quote societarie e i flussi finanziari conseguenti, e descrivendo i fatti che vi si sono svolti e continuano a svolgervisi.

Fin dalle prime righe, il rapporto riporta situazioni leggibili come frutto di un disegno programmato nei dettagli per mettere le mani sulle risorse del sottosuolo della regione dell’Equatoria che, secondo l’Istituto per la Pace americano, è ritenuta ricca di minerali quali oro, rame, piombo, zinco e altri metalli rari, fin dalle prime ricerche condotte negli anni Settanta.

La convinzione, nonostante le prospezioni poco accurate condotte finora a causa dei conflitti e della continua instabilità dell’area, si basa anche sulla conformazione geologica, simile a quella delle ricchissime regioni minerarie confinanti, appartenenti alla Repubblica democratica del Congo e all’Uganda.

La ricerca osserva che lo sfruttamento del settore da parte delle elite politiche e militari locali avviene nonostante l’approvazione, nel 2012, di una legge, il Mining Act, che prevede standard internazionali per quanto riguarda, tra l’altro, la concessione delle licenze, le garanzie per la protezione dell’ambiente e le modalità di estrazione.

Ma il settore continua a rimanere opaco e chi vi opera gode della mancanza di responsabilità che protegge in ogni occasione i gruppi di potere locali quando infrangono le stesse leggi che hanno promosso.

Numerosi sono gli esempi riportati. Tutti evidenziano l’abuso che caratterizza il settore e, in molti casi, il legame con l’acutizzarsi dei conflitti locali e nazionali.

La figlia del presidente e il conflitto in Equatoria

Il primo episodio descritto riguarda Winnie, la figlia, ventenne all’epoca dei fatti, del presidente Salva Kiir. Nel marzo del 2016 risulta essere la fondatrice della compagnia Fortune Minerals and Construction Ltd, di cui detiene una parte delle quote societarie. Le altre sono nelle mani di imprenditori cinesi. Nell’agosto del 2016 la compagnia ottenne le prime due licenze di sfruttamento per l’Equatoria centrale e orientale, tra cui la zona di Mundri.

Il mese precedente la guerra civile era ripresa e stava devastando proprio l’Equatoria. Sei settimane dopo l‘ottenimento della licenza, l’esercito governativo sferrò un’offensiva violentissima proprio nella zona di Mundri. Distrusse scuole e centri di salute, attaccò soprattutto i civili incendiando villaggi, violentando donne, uccidendo vecchi e bambini. Provocò così l’esodo di decine di migliaia di persone. La Commissione per i diritti umani dell’Onu trovò che la violenza sessuale nel paese era aumentata del 61% tra il 2015 e il 2016 e che Mundri era “l’epicentro del problema”.

I ricercatori di The Sentry non hanno trovato evidenze che provino il legame tra la concessione delle licenze e l’offensiva militare. Ma chi conosce la storia del Sudan non può non paragonare i metodi usati nelle zone minerarie dell’Equatoria dall’esercito di Juba con quelli usati nelle zone petrolifere del Bahr el Gazal, dall’esercito sudanese: costringere la popolazione alla fuga per avere mano libera nello sfruttamento delle sue risorse.

Azionisti amici e parenti

Il rapporto continua con altri esempi altrettanto interessanti. Non solo la figlia poco più che maggiorenne del presidente Salva Kiir è una scafata investitrice nel brumoso settore minerario, ma anche il figlio dell’allora vicepresidente, James Wani Igga, che detiene il 4% della Manajem Company Ltd, con tre licenze di estrazione sempre nella regione dell’Equatoria. E, tra molti altri, anche la figlia dell’allora ministro per l’Università e la ricerca, Peter Adwoc Nyaba, ora all’opposizione, che nel 2012 risultava proprietaria del 50% delle azioni della Consolidate Energy & Minerals Resources.

Risulta ai ricercatori che abbiano avuto la loro parte anche i funzionari governativi. Ad esempio, Louis Lobong Lojore, ex governatore dell’Equatoria Orientale, zona ricchissima di oro, ha messo in piedi un vero impero economico intessendo una fitta rete di compartecipazioni in affari nel settore minerario, di cui intestatari sono le due mogli, suo figlio, altri amici e parenti.

The Sentry ha anche trovato suoi investimenti all’estero, come una villa del valore di almeno un milione di dollari a Karen, cittadina alla periferia di Nairobi dove risiedono politici e famiglie dell’alta borghesia keniana. Ma molti altri politici sud sudanesi beneficiano delle risorse minerarie attraverso persone a loro legate da forti legami familiari, clanici o di amicizia.

Non mancano anche casi più sfacciati di corruzione. Nella zona di Kapoeta, soprannominata “la terra delle pepite”, secondo testimonianze raccolte dai ricercatori, le concessioni si pagano due volte. Una al ministero delle Risorse minerarie, come stabilito dal Mining Act, e una, assolutamente non prevista dalla legge, agli amministratori locali.

Concessioni ai militari e aumento dei conflitti

L’ultimo capitolo del rapporto riguarda gli interessi militari nel settore, e il suo enorme sviluppo durante gli anni della guerra civile. Il ministero della Difesa stesso di fatto detiene quote azionarie di diverse compagnie cui sono state concesse licenze minerarie, attraverso la controllata MED (Mobile  Engineering Dynamics, Construction for Development Co. Ltd) mentre l’esercito ha una joint venture con investitori sudafricani.

Ma il capitolo racconta anche di come la guerra civile abbia imperversato nelle zone minerarie. Incrociando dati ufficiali raccolti per esigenze diverse, The Sentry ha trovato che “la stragrande maggioranza delle aree dove le licenze minerarie furono alla fine assegnate,  sperimentarono conflitti significativi nei mesi (in alcuni casi nei giorni) immediatamente precedenti le concessioni”.

Anche ora, dopo l’accordo di pace, le zone minerarie sono teatro di violenze sia da parte di milizie che si finanziano con i proventi dei minerali estratti, sia da parte di gruppi criminali che approfittano del mancato controllo del territorio da parte delle autorità competenti. Particolarmente colpiti sono i minatori artigianali che costituiscono ancora una buona percentuale dei minatori nel paese. Non mancano neppure “tasse”, imposte dall’esercito governativo o dalle forze d’opposizione che controllano il territorio in cui lavorano.

Insomma, il rapporto mette in luce l’intreccio di interessi, il più delle volte illegittimi e talvolta del tutto illegali, che sfrutta per fini personali o di parte le risorse strategiche del paese. Il rapporto indica anche i provvedimenti da prendere per tagliare alla radice gli abusi ma sembra evidente che, per ora, nel paese, manca la volontà politica di considerarli come attuabili.