Uganda, la pandemia non ferma Total

In attesa della riapertura, in Francia, del tribunale chiamato a pronunciarsi sulla regolarità del vasto progetto petrolifero sulle rive del lago Albert, le attività di Total in Uganda procedono indisturbate. L’ong Amis de la Terre denuncia elevati rischi per le popolazioni locali e per l’ambiente.

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In tempi di coronavirus le azioni delle multinazionali rischiano di passare sotto silenzio. A denunciare questo pericolo è stata l’organizzazione francese Amis de la Terre, a proposito delle attività petrolifere di Total in Uganda.

Amis de la Terre insieme all’associazione Survie, che si batte contro il neocolonialismo in Africa, e a quattro organizzazioni ugandesi (Afiego, Cred, Nape e Navoda), hanno fatto ricorso alla Corte d’Appello di Versailles contro la compagnia petrolifera francese per il progetto Tilenga, in Uganda.

Secondo l’ong francese la vicenda non può attendere: le azioni di Total sul campo non si fermano e i rischi, per la popolazione e per l’ambiente, continuano ad essere elevati. La corte d’appello dovrà esprimersi sulla competenza del tribunale, commerciale o giudiziario, e valutare se la compagnia ha violato o meno il dovere di vigilanza nei confronti della sua filiale ugandese.

Il ricorso, però, potrebbe non ricevere risposta, almeno a breve. Tutti i tribunali francesi sono chiusi, dal 16 marzo scorso, a causa della pandemia. Solo le questioni considerate urgenti verranno prese in considerazione.

Secondo i querelanti il piano di vigilanza attuale della multinazionale non avrebbe identificato i rischi specifici relativi alle attività in Uganda. Inoltre, non avrebbe messo in campo misure urgenti per rispondere alle violazioni dei diritti umani che si sono verificate e per impedire quelle potenziali.

La vicenda giudiziaria era cominciata lo scorso anno, quando le sei organizzazioni avevano portato Total davanti al Tribunale giudiziario di Nanterre, in Francia. L’accusa: essere venuta meno al dovere di vigilanza, sancito da una legge francese del 2017. Il testo, nato per contrastare l’impunità delle multinazionali, prevede l’assunzione di responsabilità della casa madre nei confronti di filiali e appaltanti.

Il 30 gennaio scorso il tribunale aveva dichiarato di non essere competente sulla vicenda, demandando la decisione ad un tribunale commerciale. La stessa posizione era stata sostenuta dalla linea difensiva di Total.  Secondo i querelanti il rischio di affrontare la questione solo a livello commerciale, è quello di relegare in secondo piano le violazioni dei diritti umani e i potenziali danni ambientali del progetto.

Il progetto Tilenga prevede di scavare più di 400 pozzi petroliferi sulle rive del lago Albert e la costruzione di un oleodotto (East African Crude Oil Pipeline) di quasi 1.500 km, verso la Tanzania. La produzione, secondo le previsioni, dovrebbe raggiungere i 200mila barili al giorno. Sono coinvolte: Total Uganda, filiale del gruppo francese, la multinazionale cinese China National Offshore Oil Corporation e la britannica Tullow Oil.

Nel mese di settembre Total aveva annunciato di aver sospeso le attività connesse all’oleodotto, dopo il fallimento di un accordo finanziario con Tullow Oil. Secondo Amis de la Terre, le società di consulenza per il ricollocamento delle famiglie danneggiate dal progetto avrebbero recentemente ripreso le attività.

Nel rapporto “Gravi mancanze per la legge sul dovere di vigilanza: il caso di Total in Uganda”, pubblicato nel 2019, l’ong francese e Survie avevano denunciato la mancanza di compensazioni adeguate alle famiglie espropriate. I contadini, a cui era stato impedito di coltivare la terra, erano rimasti senza alcuna forma sostentamento. Le organizzazioni chiedono che Total sospenda le sue azioni sul terreno. Le famiglie espropriate rimarrebbero senza casa e senza attività economiche, proprio in un momento di difficoltà dovuto alla diffusione del coronavirus nel paese africano.

Le sei ong denunciano, inoltre, intimidazioni nei confronti di due attivisti e rappresentanti delle comunità, che hanno partecipato come testimoni al processo svoltosi in Francia. Già lo scorso anno i due avevano denunciato minacce e intimidazioni nei loro confronti.

A preoccupare non sono solo gli effetti sociali del progetto, ma anche quelli ambientali. Gran parte delle operazioni, infatti, si svolgeranno all’interno del Parco Nazionale delle cascate Murchison, sul Nilo bianco, il cui ecosistema è già minacciato dal contestato progetto di un impianto idroelettrico. A rischio sarebbe il sistema di zone umide, fondamentale per la conservazione di alcune specie di uccelli acquatici.

Total sostiene di aver preparato un’analisi di impatto ambientale scrupolosa e di adottare tecniche innovative per salvaguardare gli ecosistemi. Secondo le sei organizzazioni, però, l’analisi è incompleta: mancano meccanismi di attenuazione degli impatti, soprattutto indiretti. Dalla perdita di biodiversità all’inquinamento, dal rischio sismico al trattamento dei rifiuti: sono queste alcune delle conseguenze ambientali individuate dalle ong. Le attività petrolifere, inoltre, minaccerebbero il lago Albert. Il livello dell’acqua potrebbe diminuire e la qualità peggiorare, con conseguenze sulla biodiversità e sulle attività economiche connesse al lago.